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Lancia HP Executive

H.P.Executive VX

 

La HP Executive è stata l’ultima evoluzione del modello Beta HPE (High Performance Estate) commercializzato dalla Lancia a partire dal 1975. Basato sul pianale della Beta Berlina, aveva la parte anteriore fino alle portiere della Beta Coupé, entrata in produzione nel 1973: L’HPE era in pratica una Coupé con il passo più lungo che ne migliorava l’abitabilità posteriore, cui si aggiungeva la comodità del portellone. La vettura, dalla linea molto filante, nata da uno studio di Pininfarina, coniugava, quindi, la sportività di una coupé con la praticità di una berlina e, sotto alcuni aspetti, ricordava come concezione due automobili quasi sconosciute sul mercato italiano: l’inglese Reliant Scimitar GTE e la svedese Volvo 1800 SE (prodotte rispettivamente nella seconda metà degli anni ’60 e nei primi anni ’70). La Beta HPE è stata inizialmente proposta con motori di 1600 e 1800 cc ma quest’ultimo, nello stesso 1975, è stato sostituito con un propulsore di due litri. Nel 1981 il nome Beta HPE è stato mutato in HP Executive ed il motore di 2000 cc è stato dotato di iniezione elettronica. Nel 1983 è stata messa in vendita la versione VX che, equipaggiata con un motore di due litri con compressore volumetrico (volumex) e carburatore doppio corpo, ha rappresentato la variante più potente di questo modello rimasto in listino fino al 1984: tale propulsore sviluppava 135 CV a 5500 giri/min e una coppia massima di 206 Nm (21 kgm) a 3000 giri/min permettendo di raggiungere una velocità massima dell’ordine dei 200 km/h. Il volumex era un compressore volumetrico brevettato dall'Abarth ed usato dai marchi del Gruppo Fiat sia su vetture di serie che in quelle da competizione. Questo tipo di sovralimentazione, pur non consentendo potenze particolarmente elevate, permetteva di ottenere un aumento della coppia e della potenza già ai bassi regimi di rotazione del motore garantendo elasticità di marcia, piacevolezza e brillantezza di guida, soprattutto nei percorsi medio-veloci, in cui, il passo lungo della vettura, assicurava una elevata stabilità. Il modello era omologato per ospitare fino a cinque persone: lo spazio anteriore era notevole e gli occupanti dei sedili posteriori potevano prendere posto comodamente nonostante il padiglione fosse piuttosto basso. La strumentazione era completa e particolarmente originale risultava il pulsante di controllo a motore spento del livello dell’olio dall’abitacolo. Il bagagliaio era capiente ed il portellone agevolava il carico e lo scarico dei bagagli. Il sedile posteriore era sdoppiato e la possibilità di abbatterne anche una sola parte ne aumentava notevolmente la capacità e la versatilità di carico. La HP Executive che presentiamo in questo articolo è stata immatricolata a Reggio Emilia nel 1983; a seguito di un passaggio di proprietà, nel 1988, ha acquisito le targhe con la sigla della provincia di Mantova, nel 2008 è stata iscritta al PRA di Roma e nel 2009 ha ottenuto l’omologazione ASI.

 

La HP Executive VX è piacevole ancora oggi da guidare e consente prestazioni invidiabili per molte sportive moderne sebbene, inevitabilmente, il consumo di carburante sia piuttosto elevato (è bene usare benzina verde a 100 ottani). La vettura dimostra di prediligere una guida pulita: evitando brusche manovre, l’auto segue sempre in modo impeccabile le traiettorie impostate dal guidatore. La tenuta di strada è ottima; le sospensioni piuttosto rigide limitano il rollio ma penalizzano il confort, soprattutto quando il fondo stradale non è dei migliori (stiamo comunque parlando di una vettura sportiva).  Nel traffico autostradale intenso o nel traffico extraurbano che costringe a continue variazioni di velocità, si apprezza la prontezza nella ripresa: a 100 km/h il motore è a circa 2000 giri/min e consente di percorrere lunghi tratti,  anche con continui dislivelli e variazioni di velocità, in quinta senza mai scalare marcia. Su strade tortuose, anche di montagna, la vettura permette di affrontare percorsi impegnativi a medie orarie elevate: in queste condizioni la tenuta di strada è eccellente, sembra di viaggiare su due binari, ed è possibile accelerare molto presto in uscita dalle curve, anche da stretti tornanti, senza avere reazioni brusche. E’ sorprendente la precisione millimetrica con cui la VX affronta le curve senza mai discostarsi dalle traiettorie impostate. Anche se lo sterzo è un po’ troppo leggero (il servosterzo era di serie), soprattutto a bassa velocità, nelle curve strette e nei tornanti, così come a velocità più sostenute, si appesantisce un po’ garantendo una guida precisa. I freni stupiscono per la loro potenza ed efficacia anche in percorsi con discese ripide e curve impegnative: assicurano spazi d’arresto contenuti e non fanno assolutamente rimpiangere i moderni sistemi dotati di ABS, sebbene, ricordiamo, stiamo parlando di un veicolo di più di trent’anni, con una massa di oltre 1200 kg. 

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Un appunto negativo, invece, va fatto sulla manovrabilità del cambio che preferiremmo fosse più rapido, soprattutto quando si scalano le marce. Il compressore volumetrico, pur non elevando la potenza del motore di 2000 cc a valori eccelsi, ha migliorato sensibilmente le prestazioni della HP Executive: ci rammarichiamo che questo modello (come la Coupé) sia stato equipaggiato con tale propulsore solo poco tempo prima che uscisse di produzione. L’auto, seppur non efficacemente insonorizzata (il rumore del motore ed i fruscii aerodinamici, soprattutto a finestrini aperti, sono elevati) si dimostra adatta anche per lunghi viaggi. La posizione di guida è distesa, i sedili anteriori sono ben profilati e trattengono efficacemente il passeggero anche in curva. La visibilità è buona in marcia, meno in manovra a causa della forma della coda.

 

(Questo testo ed il servizio fotografico, realizzati da Marco Appugliese,

sono stati pubblicati sul N°22 del 2012 del perodico epocAuto)

La storia delle Beta

 

Al Salone di Torino del 1972 la Lancia ha presentato la “Beta” in versione Berlina: doveva sostituire la Fulvia ed era il primo modello interamente nuovo messo in produzione dalla Lancia da quando, nel 1969, era stata acquisita dalla Fiat. I motori, di origine Fiat, erano i bialbero, progettati dall’ing. Lampredi ed opportunamente rivisti, già adottati sulle Fiat 124 Sport, 125 e 132. Il pianale ed altri organi meccanici erano invece stati concepiti appositamente per questa nuova automobile dai tecnici Lancia. La meccanica era moderna (adottava la trazione anteriore, motore anteriore in posizione trasversale e sospensioni a ruote indipendenti) ma la vettura non presentava quelle innovazioni tecniche di rilievo che ci saremmo aspettati da un nuovo modello Lancia. Anche la qualità delle finiture, seppur buona, non era di livello pari a quello delle realizzazioni precedenti: la Fiat per rendere proficua la produzione della casa di Chivasso voleva evitare di ripetere quanto accaduto con la Lancia 2000 che era qualitativamente eccellente ma estremamente costosa da produrre. La Beta Berlina aveva una meccanica non rivoluzionaria ma al passo con i tempi, mentre la carrozzeria, disegnata da Gianpaolo Boano, ha subito suscitato molte perplessità: la linea a due volumi, che ricordava un po’ quella della Citroen Gs, era piuttosto pesante e poco funzionale a causa dell’assenza del portellone posteriore. Questa vettura aveva comunque molti pregi: era spaziosa e confortevole, i motori erano elastici e brillanti (1438 cc da 90 CV, 1592 cc da 100 CV e 1756 cc da 110 CV), la tenuta di strada era sicura ed i freni erano potenti ed efficaci.

Nel 1973 è stata messa in vendita la versione Coupé: disegnata da Piero Castagnero (che aveva già realizzato la fortunatissima Fulvia Coupé), aveva il pianale della berlina con il passo accorciato (i posti erano quattro ma lo spazio posteriore per gli occupanti era piuttosto limitato), una linea moderna e finiture migliori rispetto a quelle della Berlina. Al buon successo della vettura hanno contribuito i brillanti motori bialbero (gli stessi della Berlina, ma potenziati) di 1592 cc da 109 CV e 1756 cc da 119 CV.

Nel 1974 la Beta Berlina è stata equipaggiata anche con il motore di 1300 cc da 82 Cv. Verso la fine dello stesso anno sono state lanciate la Beta HPE (High Performace Estate) e la Spider. La prima, una coupé con portellone posteriore costruita sul pianale della Berlina, aveva la parte anteriore (fino alla portiera compresa) e gli interni (tranne il sedile posteriore) della Beta Coupé, mentre la coda, così come il sedile posteriore ribaltabile in maniera frazionata, era completamente nuova (questo modello, dall’abitabilità apprezzabile per una sportiva, ha riscosso un buon successo di vendite); la seconda era in realtà una Targa derivata dalla Coupé, aveva il tettino rigido asportabile, capote posteriore ripiegabile e un robusto roll bar centrale con funzione strutturale. Entrambe nate da uno studio della Pininfarina, adottavano i motori di 1,6 e 1,8 litri. La Spider non era costruita completamente negli stabilimenti Lancia: le scocche della Beta Coupé venivano inviate alla Zagato che provvedeva a tagliarle, modificarle ed allestirle, rinviandole poi alla Lancia per il montaggio degli organi meccanici. Nel 1974 la Beta Coupé ha affiancato la Stratos HF e la Fulvia Rallye 1,6 HF nelle competizioni contribuendo alla vittoria della Lancia nel Campionato del Mondo Rally. Si trattava della versione 1.800 cc con una profonda elaborazione meccanica che prevedeva la testata Abarth della 124 ed una differente disposizione del motore alimentato a carburatori che erogava 190 cv.

Nel 1975 è entrata in produzione la seconda serie di tutta la gamma Beta. Le carrozzerie hanno subito un leggero restyling mentre sono state variate alcune motorizzazioni. Sono scomparsi i motori di 1400 e 1800 cc; per la Berlina il motore di1300 cc è rimasto invariato, quello di 1600 cc ha subito un lieve decremento di cilindrata (da 1592 a 1585 cc) ma non di potenza, mentre è stato messo in listino il motore di 1995 cc e potenza di 119 CV. La Coupé, la HPE e la Spider sono state equipaggiate con i motori di 1600 cc e 2000 cc della Berlina. Al salone di Ginevra del 1975 la gamma delle Beta si è arricchita con il modello Montecarlo, nelle versioni Coupé e Spider (la seconda differisce dalla prima per il tetto in tela ripiegabile). Si trattava di una berlinetta a due posti secchi con motore posteriore centrale disegnata da Pininfarina. La Montecarlo è stata l’unica Beta non progettata dalla Lancia ed era il frutto della collaborazione tra Fiat e Pininfarina. Condivideva con le altre Beta solo il motore di due litri di cilindrata da 120 CV che risultava un po’ sottodimensionato per una vettura dalle spiccate caratteristiche sportive. Il suo progetto era nato contemporaneamente a quello della Fiat X1/9, denominato inizialmente X1/8 e successivamente X1/20. Questa vettura, motorizzata con un sei cilindri di tre litri di cilindrata e 285 CV di derivazione Fiat 130, ha debuttato in gara nel 1974 con il nome Abarth Pininfarina SE 030 classificandosi al secondo posto al Giro d’Italia di quell’anno.

Nel 1976 è uscita di produzione l’ultima versione della Fulvia Coupé ed è stata rimpiazzata dalla Beta Coupé 1300 equipaggiata con il motore di 1297 cc da 83 CV della Beta Berlina.

Nel luglio del 1978 era la volta della terza serie delle Beta Coupé, Hpe e Spider. Le carrozzerie subivano un ulteriore restyling, il motore di 1300 cc (montato solo sulla Coupé) passava da 1297 a 1301 cc di cilindrata mentre per le versioni di 1600 e 2000 cc era possibile equipaggiarle, a richiesta, con un nuovo cambio automatico a tre rapporti. Infine la potenza del motore di 2000 cc era scesa a 115 CV a causa di una serie di interventi volti a ridurre i consumi e a migliorarne l'elasticità.

Al salone di Francoforte del 1979 veniva presentata la terza serie della Berlina. Sostanzioso il restyling della carrozzeria; l'interno, completamente ridisegnato, era dominato dalla nuova ed originale plancia soprannominata "millebuchi" poiché gli strumenti e comandi erano alloggiati in "buchi" ricavati nel corpo principale realizzato in un unico blocco di poliuretano. Usciva di scena la versione con motore 1300 cc mentre quella con il motore di 2000 cc subiva le stesse modifiche meccaniche che avevano interessato la terza serie delle Coupé, HPE, Spider (anche questa vettura, a richiesta, poteva essere allestita con il cambio automatico a tre rapporti). Nel 1979 debuttava in pista la Beta Montecarlo nella versione Silhouette (Gruppo 5). Equipaggiata con un motore di 1425 cc, dotato di turbo, che erogava una potenza di 370 CV, aveva un’aerodinamica molto esasperata e pesava solo 750 kg. Ha vinto alcune gara battendo le dominatrici Porsche 935 e le Ford Capri Zakspeed.

Nel 1980 è stata esposta al salone di Ginevra la seconda serie della Montecarlo: le modifiche riguardavano soprattutto la carrozzeria e la denominazione che ha perso la specificazione Beta diventando semplicemente Montecarlo. Al Salone di Torino dello stesso anno la Lancia ha presentato la Beta Trevi, versione a tre volumi della Beta Berlina. Riprendeva la carrozzeria della Beta Berlina due volumi fino alla portiera posteriore inclusa ed era equipaggiata con i motori di 1600 e 2000 cc, quest’ultimo anche nella versione con iniezione elettronica e potenza di 122 CV. Nel 1980 la Silhouette, con motore potenziato a 400 CV e con lo squadrone di piloti costituito da Eddie Cheever, Riccardo Patrese, Walter Roehrl e Michele Alboreto ha vinto il Campionato Internazionale Marche Gruppo 5, bissando il successo l’anno seguente.

Nel 1981 è stata presentata la quarta serie delle Beta Coupé, HPE (ha perso il nome Beta HPE per chiamarsi HP Executive) e Spider. Il restyling ha interessato molti particolari della carrozzeria e gli interni sono stati completamente ridisegnati, tranne la forma dei sedili che è rimasta invariata. Le principali novità tecniche hanno riguardato il lieve incremento di cilindrata (da 1297 a 1366 cc) nel motore della versione Coupé 1300 (84 CV) e l'adozione dell'alimentazione a iniezione elettronica sul propulsore di due litri (122 CV). Nel 1981 è uscita dal listino la Beta Berlina.

Nel 1982 al Salone di Torino la Lancia ha presentato la Beta Trevi VX. La vettura era equipaggiata con il bialbero Fiat di 1995 cc alimentato da un carburatore doppio corpo e da un compressore volumetrico (Volumex) che consentivano di ottenere la potenza di 135 CV con coppia massima pari a 21 kgm a 3000 giri. Nel 1982 sono uscite dal listino la Spider e la Montecarlo. Quest’ultima lascerà come “erede” la Rally 037, una berlinetta sportiva - che ricordava esteticamente la Montecarlo - dotata del motore di 1995 cc da 205 CV (in versione preparata per le corse poteva superare i 300 CV) e costruita in soli duecento esemplari: sarà l’ultima vettura a due ruote motrici a vincere il Campionato Mondiale Marche Rally (nel 1983).

Nello stesso 1983 è apparsa sul mercato la seconda serie della Beta Trevi (denominata ora solo Trevi): minime erano le variazioni estetiche e meccaniche che caratterizzavano questa versione. Nello stesso anno entravano in produzione la Beta Coupé VX e la HP Executive VX, entrambe dotate del motore di 2000 cc dotato di compressore volumetrico.

Nell’autunno del 1984 la Trevi, la Beta Coupé e la HP Executive sono state tolte dal listino Lancia.

La gamma Beta è stata commercializzata anche nei mercati extraeuropei, specialmente negli Stati Uniti. A questo proposito vogliamo ricordare che al Salone di Ginevra del 1976 è stata esposta la Scorpion, versione della Beta Montecarlo per il mercato USA, con motore di 1800 cc e potenza di 102 CV (non era possibile utilizzare il nome Montecarlo sul mercato statunitense in quanto era usato dalla Chevrolet per un suo modello). La vettura rispettava le severe norme antinquinamento e relative alla sicurezza vigenti negli Stati Uniti. Nel luglio del 1979 è stata presentata la versione Beta Spider Special, nata per il mercato statunitense, che commemorava i sessanta anni della carrozzeria Zagato. Era di colore nero dentro e fuori con il perimetro della carrozzeria percorso da una doppia striscia dorata ed era equipaggiata con un motore di due litri da 88 CV (84 Cv per la versione in vendita in California). Nel 1981 la nuova serie ha adottato il motore ad iniezione con potenza di 110 CV.

Sovralimentazione

 

In un motore a scoppio la sovralimentazione consiste nell’introdurre nei cilindri una miscela aria-combustibile in quantità maggiore rispetto a quella che si otterrebbe con i tradizionali sistemi di aspirazione: rispetto ad un motore “aspirato” della stessa cilindrata si ottiene così maggior potenza e maggior coppia. La sovralimentazione può essere di tipo chimico o di tipo meccanico. Nel primo caso bisogna sostituire l’aria che attraversa il collettore d’aspirazione con un fluido più ossigenato: in genere si usa arricchire l’aria introducendo nel collettore, tramite appositi ugelli, del protossido d’azoto (N2O). Non appena entra in contatto con le zone ad alta temperatura, il composto reagisce liberando ossigeno puro e consentendo aumenti di potenza e coppia dell’ordine del cinquanta-sessanta per cento. Questo metodo non è usato sulle vetture di serie perché comporta alcuni problemi: è innanzitutto necessario avere delle bombole piuttosto capienti per immagazzinare il protossido d’azoto e, poiché il motore è sottoposto ad un’usura eccessiva che ne limita la durata, è possibile aumentare la potenza solo per periodi di tempo molto brevi. Negli anni ’40 alcuni aerei utilizzavano la sovralimentazione chimica per accrescere la potenza dei motori in fase di decollo oltre che, per brevi intervalli di tempo, per superare le intemperie o in combattimento. In campo automobilistico questo tipo di sovralimentazione si è sviluppato negli anni ’60 e ’70 su quei veicoli che avevano bisogno di grandi prestazioni ma per tempi brevissimi quali i dragster nelle gare di accelerazione.

La sovralimentazione meccanica può essere ottenuta utilizzando un compressore volumetrico o un turbocompressore (oppure è possibile utilizzare entrambe le tecnologie contemporaneamente).

Il compressore volumetrico è un sistema di sovralimentazione meccanica che sfrutta la potenza stessa del motore per comprimere la miscela aria-combustibile da immettere nei cilindri del propulsore. E’ collegato all’albero motore tramite una cinghia e forza l'immissione del quantitativo di miscela all'interno del collettore d'aspirazione. Il compressore tipo Roots è quello più diffuso anche se ne esistono di altre tipologie. Due rotori opportunamente sagomati ad assi paralleli ruotano in sincronia in senso opposto creando camere progressive dalla bocca di aspirazione a quella di mandata. I rotori sono quasi sempre a due lobi ma ne esistono modelli anche con numero superiore; la configurazione a due o tre lobi è quella che consente la riduzione dell'ingombro radiale. Il volumex è un compressore volumetrico brevettato dall'Abarth, usato, dai marchi del Gruppo Fiat, sia su vetture di serie che in quelle da competizione.

Il turbocompressore è attualmente il sistema più diffuso di sovralimentazione meccanica. E’ composto da una turbina, messa in rotazione dai gas di scarico del motore, e da un compressore: la girante del compressore, collegata tramite un piccolo albero alla girante della turbina e messa in rotazione da quest’ultima, comprime l'aria immettendola, tramite il collettore d'aspirazione, nei cilindri del motore in quantità maggiore di quanto questi ne potrebbero aspirare in assenza di tale dispositivo. Immettendo quindi nella camera di scoppio anche un maggior quantitativo di carburante si ottiene una maggiore potenza del motore. La pressione di sovralimentazione dipende soprattutto dalla velocità di rotazione del compressore, quindi dall'energia fornita alla turbina: è l’entità dei gas di scarico che investe la turbina a determinare la velocità di rotazione di quest’ultima e di conseguenza quella del compressore. Per regolare la pressione di sovralimentazione bisogna far sì che parte dei gas di scarico (la quantità in eccesso) possa essere mandata all'esterno della turbina. Tale compito è affidato alla valvola waste-gate che, posta in prossimità della turbina, aprendosi, fa defluire i gas evitando che investano la girante.

Esistono turbocompressori a geometria variabile: in questo caso la girante della turbina è circondata da palette mobili che, aprendosi o chiudendosi in virtù del regime di rotazione, fanno variare l’angolo di incidenza dei gas di scarico con le palette stesse favorendo così la velocità o la portata dei gas. Rispetto ad un turbo a chiocciola fissa, una turbina a geometria variabile consente di ottenere la stessa bassa inerzia di una turbina di piccole dimensioni e la portata d'aria (quindi la potenza) di una turbina di grandi dimensioni. I motori che utilizzano questo tipo di turbocompressore non necessitano della valvola waste-gate: in tal caso è proprio la variabilità della geometria delle palette a determinare la pressione di sovralimentazione.

Un motore dotato di turbocompressore riesce ad avere un sostanziale incremento di prestazioni solo in un arco di giri-motore alto, visto che il meccanismo, per entrare in pressione, deve essere investito da una grossa quantità di gas di scarico normalmente non disponibile ai bassi regimi. Il compressore volumetrico permette invece di migliorare le prestazioni su tutto l’arco di utilizzazione del motore (il fenomeno del turbo-lag è assente) ma l’incremento è inferiore agli alti regimi di rotazione rispetto a quello che sarebbe possibile ottenere con un propulsore della stessa cubatura ma dotato di turbocompressore. Nei motori di grossa cilindrata il compressore volumetrico può essere invece applicato senza penalizzare in maniera rilevante la potenza massima espressa. Una soluzione ottimale sarebbe quella di applicare contemporaneamente un compressore volumetrico funzionante ai bassi regimi ed un turbocompressore per quelli alti. Una soluzione di questo tipo è stata applicata con successo per la prima volta sulla Lancia Delta S4 nel 1985. In tempi recenti tale schema è stato ripreso dal gruppo Audi-Volkswagen: il compressore volumetrico (non un volumex ma un G Lader a chiocciola) è collegato all'albero motore solo nei regimi bassi per avere subito un buon incremento di coppia, poi, superato un certo numero di giri motore, entra in funzione il turbocompressore garantendo potenze elevate.

Guida all'acquisto

 

Ad oltre quarant’anni dalla presentazione della prima Lancia Beta, ed a trenta dall’uscita di produzione della sua ultima versione, è difficile vedere circolare una di queste vetture sulle nostre strade. Questo modello, in particolar modo nella versione Berlina, non è mai entrato nel cuore degli appassionati, nemmeno in quello dei Lancisti più “puri”, coloro, cioè, che hanno sempre e solo posseduto una Lancia, destando non poche perplessità soprattutto a causa della linea non equilibratissima e forse poco elegante per il gusto degli acquirenti. Le versioni Coupé, HPE e Montecarlo hanno riscosso un discreto successo pur risentendo di motori non adeguati alle altre notevoli caratteristiche della vettura. D’altra parte, questi modelli sono entrati in produzione in piena crisi energetica e, solo a due anni dall’uscita dal listino, la Coupé e la HP Executive sono state equipaggiate con il motore due litri con il volumex capace di farne apprezzare la piacevolezza di guida. Per non parlare della Montecarlo, vettura dalla impostazione molto moderna e strettamente sportiva, limitata nelle prestazioni dal “fiacco” due litri da 120 CV. La Spider non ha avuto un successo degno di nota: proponeva il concetto di “Targa”, di moda negli anni del suo debutto, ma non aveva il fascino che si richiedeva ad una vettura scoperta ed era molto lontano da quell’eleganza a cui la Lancia aveva abituato con le sue spider. L’acquisizione, nel 1969, della Lancia da parte della Fiat inoltre non ha giovato a questo modello: anche se (ad eccezione della Montecarlo) tutte le versioni sono state progettate da tecnici Lancia, le scelte produttive volute dalla Fiat per ridurre i costi hanno influito negativamente sulla qualità delle finiture. Queste considerazioni spiegano come mai nel 2015 le quotazioni di questo modello siano particolarmente basse. La Berlina è valutata intorno ai duemila euro che possono salire a tremila se si tratta di una prima serie. La Trevi è quotata intorno ai millecinquecento euro, tre-quattromila per la versione VX. Più richieste sono le versioni Coupé ed HPE: la prima e quarta serie sono quotate cinquemila euro, la seconda e terza quattromilacinquecento euro. Un discorso a parte va fatto per la Coupé ed HP Executive dotate di volumex: in questo caso la valutazione sale a settemilacinquecento euro sebbene, a causa della limitata produzione e dei pochi esemplari rimasti integri, è quasi impossibile trovare un proprietario di una di queste vetture disposto a venderla per tale cifra. La Spider è quotata intorno ai diecimila euro mentre la Montecarlo vale tra i tredicimila e quindicimila euro a seconda che si tratti di una prima o di una seconda serie. Tali quotazioni sono riferite ad unità in buone condizioni ed al mercato italiano in cui la richiesta di questo modello è piuttosto scarsa. All’estero la Beta gode di migliore considerazione, soprattutto su quei mercati dove ottenne un buon successo commerciale (quali quello tedesco, francese, nordeuropeo, statunitense, australiano e canadese).

Acquistare una di queste vetture è senz’altro consigliabile per chi volesse avvicinarsi ad un’auto degli anni ’70. Molto comode e spaziose sono le Berlina e Trevi mentre ottime soddisfazioni di guida dànno la Coupé (in particolare nei percorsi misti e tortuosi dove è molto reattiva anche in virtù del passo corto e della trazione anteriore), la HPE (dotata di passo lungo e apprezzabile per la sua maggiore stabilità nei percorsi medio-veloci di più ampio raggio) nonché la Montecarlo (con impostazione di vera sportiva a motore centrale e trazione posteriore).

Chi volesse restaurare una Beta non ha grossi problemi nel reperire i ricambi riguardanti la meccanica mentre particolari relativi alla carrozzeria ed agli interni sono quasi introvabili. Nell’acquisto bisogna porre attenzione all’eventuale presenza di ruggine e all’originalità dell’esemplare: molto spesso si trovano auto di una serie restaurate con particolari di un’altra, cosa che, oltre a far storcere il naso ai puristi, abbassa il valore della vettura. Se invece si acquista una Spider prima serie (prodotta unicamente con motore 1600 e 1800) bisogna controllare che alla portiera non sia stata aggiunta la traversa superiore con conseguente modifica del vetro e del tettuccio rigido. Tale modifica è stata introdotta sulle serie successive per rendere più rigida la vettura: se dovesse essere presente è bene verificare che sia stata eseguita dalle officine Lancia. Ricordiamo inoltre che la Lancia non ha mai prodotto Spider con il motore volumex e che si trovano in commercio Coupé e HP Executive dotate del compressore volumetrico che non sono VX originali ma vetture (in genere con il motore due litri) trasformate nella meccanica e nella carrozzeria in VX. Per accorgersene bisogna controllare attentamente la carta di circolazione ed i dati relativi al motore oltre che verificare “visivamente”, in modo accurato, tutti i dettagli della vettura (ci sono esemplari trasformati in VX che hanno come base auto immatricolate prima che le VX fossero messe in commercio!).

Se dovessimo consigliare quale Beta acquistare (o restaurare) per trarre il massimo beneficio sia dal punto di vista dell’investimento e sia in termini di piacere di guida e di utilizzo dell’esemplare, non avremmo dubbi nell’indicare la Beta Coupé o HP Executive nelle versioni VX oppure la Montecarlo.

Anche se la Lancia Rally 037 è solo una discendente alla lontana della Beta, vorremmo chiudere con una curiosità: la quotazione di un esemplare in ottime condizioni di questa particolare vettura, in configurazione “stradale”, è dell’ordine dei duecentomila euro, ma in casi di esemplari dal glorioso passato sportivo si supera la quotazione di quattrocentomila euro.

Scheda tecnica completa

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